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Da Amazon ad Alibaba, quella bulimia da ecommerce (che rallenta per la prima volta)

Tutti sopravvalutano gli effetti della tecnologia nel breve periodo ma li sottovalutano nel lungo periodo. La profezia viene talvolta attribuita a Bill Gates (possibile), talvolta al suo delfino Mark Zuckerberg (improbabile). Ma tra le tante convinzioni ad effetto che la pandemia ha scardinato sembra esserci anche questa sorta di legge empirica: da quando è scoppiato il Covid la tecnologia della digitalizzazione ha subito un’accelerazione tale da colmare un decennio di ritardo. Non l’avevamo sopravvalutata per niente e ha rispettato le speranze. Chi non ricorda le prime settimane di lockdown alle prese con le lunghe code digitali per fare la spesa, i problemi dei sistemi di pagamento e le attese al telefono con l’help desk aziendale per trasferire sulle piattaforme il proprio lavoro in maniera sicura? You are on mute è diventato il segno di un’epoca. Ci sono voluti due anni, ma abbiamo imparato: la tecnologia nel breve ci ha salvato. Siamo diventati definitivamente «homo onlife» (Floridi docet).

Il caso Amazon

Ma ora? Non avevamo forse sopravvalutato i suoi effetti in un periodo di tempo più lungo? Non c’è solo l’indizio dell’abbandono delle riunioni su Zoom o delle crisi di aziende come Peloton, che aveva modificato il proprio modello di business convinta che tutti noi avremmo continuato a fare cyclette in casa anche nel post-Covid perché «più comodo»: un segnale più importante e più strutturato viene dal rallentamento (molto inatteso) del commercio elettronico. Per la prima volta la graduale crescita dello shopping online sta subendo nel 2022 un decremento significativo. Amazon sta soffrendo sul Nasdaq in maniera evidente: in un anno il titolo è sceso da 180 dollari a 112. Tutti soffrono, è vero. Ma in questo caso il crollo è avvenuto perché i dati sottostanti deludono: la società di Jeff Bezos ha registrato il tasso di crescita più basso da venti anni nelle vendite del trimestre chiuso nel giugno 2022. Il giro di affari nello stesso trimestre è stato di 112 miliardi (-7,3% sul trimestre precedente). Il profitto rispetto a un anno prima è sceso di due miliardi, anche a causa dei grossi investimenti nella logistica: avete presente i Tir con la scritta Amazon che tutti noi abbiamo trovato in autostrada quando abbiamo ricominciato a viaggiare? Sempre la società di Seattle ha appena lanciato un fondo da un miliardo per finanziare startup che offrano soluzioni tecnologiche per la supply chain e la logistica.

Difficoltà anche in Cina

E non c’è solo il gigante Usa a soffrire. Nell’altra metà del mondo il trend è lo stesso. «La crescita delle vendite online per il retail sarà probabilmente più lenta quest’anno rispetto al 2020 e al 2021» ha scritto Fitch sulle prospettive della Cina dove il gruppo più importante rimane Alibaba, sempre controllato dal miliardario desaparecido Jack Ma che, pur essendo entrato in forte contrasto con l’apparato politico cinese, rimane il secondo azionista dopo Softbank. Il segnale cinese è ancora più rilevante visto che la politica dello Zero Covid perseguita dalle autorità di Pechino dovrebbe favorire un solido sostegno agli acquisti online (e va aggiunto che la Cina è passata proprio grazie ad AliPay — sempre di Alibaba — e al competitor WeChatPay ai micropagamenti elettronici molto prima dell’Occidente). Da sottolineare che nonostante la nostra percezione «declinista» sulle vendite nei negozi fisici le percentuali continuano a descrivere un mondo a due velocità: nell’Asia Pacifica viene completato online il 25% degli acquisti retail. In Europa Occidentale siamo al 13%. In Europa Centrale e Orientale al 7%, l’Africa è al 3%, l’America Latina al 6% e l’America del Nord al 14%.

Tradizione e modernità

La migliore realtà è la fantasia, diceva Fellini. E in effetti come sempre la nostra fantasia ha anticipato i tempi: ci immaginavamo già auto che guidano da sole, convogli di Tir eterodiretti via Internet e droni che atterrano sui nostri terrazzi con il pacchetto comprato sullo smartphone, ma la realtà procede sempre più lenta a meno di non inciampare in qualche stato di necessità, come quello creato dal Covid, appunto. Nel commercio è sempre capitato che delle accelerazioni venissero giustificate da fattori esogeni, cioè esterni al sistema: alla fine del 1400 Bartolomeo Diaz doppiò il Capo di Buona Speranza aprendo a nuove vie per l’Asia. Come mai affrontò un viaggio pericolosissimo? Perché nel 1453 era caduta, dopo otto secoli, Costantinopoli, interrompendo le antiche strade e gli avamposti di Genova, come Galata.

Difficile trovare un’unica causa per questo improvviso rallentamento dopo due anni di bulimia da clic. Il carovita, la crisi economica e anche il rafforzamento del dollaro hanno avuto sicuramente un’influenza negativa in questa tendenza. Anche se il paradosso è che online i prezzi continuano ad essere più bassi, anche se non si sa per quanto (visto il maggior costo dei trasporti e della logistica in generale molte società di commercio elettronico hanno iniziato a negare il reso gratuito, per esempio). In ogni caso è probabile che ci sia — sebbene resti abbastanza intangibile e non misurabile — un effetto di rifiuto degli eccessi di questi due anni: dopo aver passato così tanto tempo davanti agli schermi del laptop e dello smartphone è sano che sia tornata la voglia di eseguire alcuni compiti nella vecchia maniera, recuperando rituali desueti. Ogni crescita accelerata porta con sé una ricaduta gravitazionale. Anche se questo fenomeno sarà presumibilmente passeggero: stiamo dando un calcio al computer, ma tra non molto avremo voglia di recuperare tutto ciò che di vantaggioso ci ha offerto la digitalizzazione. Chi ha voglia di tornare a combattere con il contante, con le monetine e con il resto?

 

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