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Il conto da 15 miliardi di euro della transizione green per le imprese

Quale sarà lo scenario previsto

 

Nelle ultime settimane l’Italia ha visto l’ufficializzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che dà oltre un terzo dei suoi fondi alla transizione ecologica; ha assistito all’avvio di massicci investimenti da parte dei campioni nazionali delle rinnovabili; ha partecipato attivamente alla definizione del piano europeo Fit for 55 dedicato all’impegno comune sulla lotta alle emissioni; ha ospitato l’appuntamento del G20 dedicato a clima e ambiente. In prospettiva, per il Paese, la prossima sfida sarà quella di definire politiche industriali tali da abilitare senza duri costi per le imprese e i lavoratori il passaggio a sistemi di alimentazione più efficienti per i nostri sistemi economici e a creare nuovi settori basati su una crescente sostenibilità.

Le imprese italiane hanno presentato al governo Draghi quello che ritengono possa essere il conto delle scelte volte ad abilitare e promuovere la transizione nei settori oggi ritenuti a maggior impatto ambientale. Un rapporto compilato dagli americani di Boston Consulting, commissionato dalle associazioni di categoria dei settori meno “green” di Confindustria (siderurgia, chimica, fonderie, carta, vetro, cemento, ceramica) ha stimato il costo in 15 miliardi di euro. Fondi ritenuti necessari a costruire nuovi impianti, a riqualificare quelli già esistenti, a sviluppare nuove fonti di alimentazione, a evitare la distruzione di posti di lavoro.

Le aziende che, come riporta Repubblica, rappresentano un fatturato complessivo di 88 miliardi di euro e 700mila addetti con l’indotto hanno voluto portare in evidenza il fatto che questa via ha un costo sostanzialmente paragonabile a quello che comporterebbe la ben meno efficace procedura di investimento nel mercato delle emissioni e dei permessi di inquinamento: essa comporterebbe un “costo cumulato per le imprese energivore tra gli 8 e i 15 miliardi di euro dal 2022 al 2030, cioè un taglio dell’8-20% del margine operativo lordo nel 2030. Insomma, un forte rischio di perdita della competitività rispetto ai player internazionali”.

La questione della transizione è una partita a tutto campo che sarà decisiva anche per la capacità del nostro Paese di restare competitivo sui mercati internazionali.

Il primo volano è quello del sostegno pubblico all’investimento aziendale in tecnologie abilitanti e efficienza energetica nella scelta di fornitori, impianti, metodi di generazione. Una traccia che il Pnrr intende seguire e che si completa con misure di stampo keynesiano come il Superbonus.

Secondo punto è quello degli investimenti in stabilizzazione dell’occupazione e in riqualificazione del lavoro. Un costo capace di generale esternalità negative nel quadro della transizione sarà quello legato alla distruzione di posti di lavoro e alla necessità di riqualificare competenze e produrre nuove posizioni e figure lavorative. Un serio programma di re-skilling nei settori potenzialmente soggetti alla massima quota di cambiamenti può avere risultati importanti nell’ammortizzare i costi.

Infine, risulterà necessario aumentare l’integrazione tra il tessuto industriale e le reti di alimentazione a sempre minore impatto ambientale su cui si muovono i mercati energetici ed elettrici più strutturati. Gli interconnettori “verdi” alimentati a rinnovabili, le reti intelligenti capaci di programmare grazie all’armonizzazione tra domanda e offerta di energia, reti più sicure di fronte a cali di tensione e sovraccarichi possono di per sé evitare sprechi e ridurre i costi per le imprese e i danni per l’ambiente del Paese.

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