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Le pmi ripartono dopo la crisi, nel 2022 margini oltre il pre-covid

L‘universo delle Pmi italiane pare aver superato la più grande crisi mai affrontata dal Paese dal dopoguerra. Prima limitando i danni e contenendo a meno di nove punti il calo delle vendite reali nel 2020, poi ripartendo in modo convinto, arrivando nel corso di un biennio a chiudere il gap ritrovando la via della crescita. L’Osservatorio Cerved sulle Pmi traccia un quadro in media positivo del settore, cruciale per l’andamento globale della nostra economia.

Sono state analizzate oltre 150 mila imprese, responsabili di oltre 1000 miliardi di ricavi e 4,5 milioni di addetti. Universo ristretto dalla crisi (6000 unità in meno rispetto al 2019) ma comunque rimasto a galla grazie anzitutto alle iniezioni di liquidità fornite da prestiti garantiti, ristori e moratorie. Salvagente che ha contenuto i danni sotto più punti di vista, consentendo una sostanziale tenuta del sistema dei pagamenti e contenendo il numero di fallimenti registrati.

Questo nonostante l‘impennata delle perdite, realizzate da un terzo delle aziende, il doppio rispetto a quanto accadeva nel 2019. Sistema ancora in piedi e tuttavia certamente ferito.

Per molte realtà, ad ogni modo, il prezzo da pagare per resistere è stato l’aumento dei debiti, cresciuti di quasi 12 punti, con il risultato di spingere così l’incidenza sul capitale netto al 73% (da 67%), primo rialzo dopo otto anni di continui miglioramenti.

Guardando a valore aggiunto e margine lordo, sulla base delle previsioni di Cerved il pieno recupero della situazione pre-crisi per le Pmi avverrà già il prossimo anno. Mentre i ricavi, frenati nelle medie generali dall’area dei servizi, anche il prossimo anno saranno ancora per poco più di un punto al di sotto dei valori 2019. Quali le prospettive? Uscita dalla crisi e risorse del Pnrr offrono per gli analisti un’occasione per sanare deficit storici del sistema, migliorandone la produttività. Un’indicazione per la politica economica è quella di concentrarsi sulle aziende con buone prospettive economiche ma appesantite dai debiti, trascurando invece sia le aziende senza chance che quelle “sane”, in grado di operare autonomamente sul mercato. In termini di equity si tratterebbe di un intervento stimato in 4,5 miliardi di euro, azione che consentirebbe di evitare oltre 2000 fallimenti e tutelare 55mila posti di lavoro.

 

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