Torna al Blog

Manifesto dell'innovazione: dalle competenze agli investimenti, cosa serve per far decollare una startup

Certo, a guardare la moda verrebbe da pensare che l’innovazione sia ancora questione che riguarda in buona parte le aziende e segnatamente le grandi imprese. Nuovi tessuti, nuovi materiali, un’offerta che non può non tenere conto del fatto che le nuove generazioni (uno su tre di quella Z, i nati dopo il 1996) sono disposte a pagare di più purché le proposte abbiano un contenuto di «sostenibilità» elevato. Ma proprio la moda è forse l’esempio più marcatamente visibile di quanto l’innovazione sia diventata pervasiva e trasversale in ogni segmento delle attività. Di qualsiasi attività. L’essere innovativi nella scelta di colori, disegni, tessuti, non basta e non basterà più. Si deve pensare al ciclo completo di un abito, di un accessorio. Alla sua vita prima e dopo l’acquisto. Con in più un elemento che ha definitivamente modificato il concetto stesso di cambiamento: il digitale. Da quando è apparsa la tecnologia digitale moderna (quella che associamo a Internet, dalle app ai social media, ai grandi dati), le innovazioni industriali che stimolano i nostri acquisti non sono più le stesse. La capacità di innovare passa sempre più spesso per le startup, come ben dimostrano i colossi del digitale — oggi le aziende a maggior capitalizzazione al mondo —, la maggior parte delle quali non esisteva fino a 25 anni fa. E con un’altra importante differenza.

 

Quanto si spende in ricerca

Una volta c’erano grandi e piccole innovazioni. Ecco la macchina a vapore, le ferrovie, la prima automobile, il personal computer. Grandi prodotti che avevano «cambiato il mondo», per parafrasare il titolo di un libro famoso dei ricercatori del Mit di Boston. Innovazioni che richiedevano e richiedono tanti quattrini e un’organizzazione industriale che impone l’impiego di scienziati e ingegneri in laboratori che ancora oggi chiamiamo Ricerca e Sviluppo. Si devono avere ricchi budget che variano dal 3% del fatturato nei settori di largo consumo, al 15% del settore farmaceutico fino al 25% delle aziende che operano in settori cosiddetti «militari». Ma, da sempre, il successo delle aziende è dipeso anche da piccole innovazioni: la capacità di imitare, di differenziarsi dai concorrenti, dal sapere servire meglio un mercato, senza mutare radicalmente l’architettura di un prodotto e la sua tecnologia. In quanti abbiamo comprato prodotti che prendono spunto da quelli già inventati, perché ad esempio hanno qualche gadget in più, perché costano meno, o semplicemente perché non amiamo le marche globali come anni fa ci ha illustrato Naomi Klein con il suo bestseller «No Logo?»

 

L’avvento del digitale

Con l’avvento del digitale, però, stiamo imparando che anche l’innovazione ha diverse sfumature di grigio e può percorrere una terza via con un impatto industriale straordinario, a tal punto da cambiare i gusti dei consumatori e scalzare i tradizionali leader di settore. Pensiamo all’e-commerce e a come è nato venticinque anni fa. La distribuzione di libri è una delle prime invenzioni commerciali del tardo Ottocento e quando un secolo dopo è apparsa Amazon esistevano tanti formati diversi che si contendevano le preferenze dei consumatori nel mercato, dai piccoli rivenditori, alla distribuzione specializzata in grandi catene. Usando e studiando i dati degli utenti, Bezos non ha creato un nuovo servizio né sviluppato l’ennesimo nuovo formato. Ha semplicemente reinventato il modo di informarci sui libri e farceli acquistare da casa.

 

Dall’iPhone a Spotify

Lo smartphone non è stato da meno. Quando apparve iPhone nel 2007, Motorola aveva già inventato il telefono cellulare alla fine degli anni Ottanta e, saggiamente, prima Nokia e poi Blackberry avevano reso l’uso della telefonia mobile più coerente rispettivamente con la massa dei consumatori negli anni Novanta e con i professionisti a inizio Millennio: che nostalgia a pensare alla tastiera minuscola, ma assai ergonomica di Blackberry! Steve Jobs, con l’iPhone, ha aggiunto le app che sfruttano i nostri dati esperienziali e trasformano il telefono in un prodotto personalizzato e appunto più smart. Esattamente come ha fatto Daniel Ek con Spotify, convincendo le major musicali a condividere i file con le canzoni degli artisti per comporre librerie musicali che nel nostro device diventano un unicum, con un valore individuale impagabile. Potremmo andare avanti con centinaia di altri esempi che dimostrano una cosa affascinante: l’applicazione del digitale ai prodotti e servizi esistenti ridefinisce la loro natura, senza rivoluzionarla, ma rendendola ancora più coerente con l’impiego che ne facciamo.

 

Facile quindi progettare queste innovazioni?

Non proprio. Difatti, dicevamo, nella stragrande maggioranza dei casi questi prodotti digitali sono stati introdotti da startup. La forza del digitale è difatti il saper semplificare i problemi dei clienti attraverso i dati, quando invece la progettazione tradizionale delle innovazioni è ingabbiata in complesse logiche industriali di prodotto. La piattaforma Airbnb è un altro esempio avvincente. Gli industrial designer Brian Chesky e Joe Gebbia, stanchi di non trovare stanze di albergo durante le conferenze internazionali, hanno deciso di connettere gli utenti per creare una piattaforma di appartamenti in affitto. Ignorata dai grandi del settore quali Marriott e Sheraton, la piattaforma ha pian piano ridefinito il concept di servizio nel settore turistico, diventando leader di mercato e portando negli anni gli stessi leader del settore a seguirne il comportamento.

 

Il dominio Usa

La rivoluzione digitale continua a essere targata Stati Uniti, a oggi in grado di registrare più di 700 unicorni (le startup che raggiungono un miliardo di dollari in pochi anni dalla fondazione) contro i circa 100 europei. L’Italia contribuisce a questi ultimi con le pluri-menzionate Yoox, Depop (entrambe legate al mondo del fashion) e King nel mondo dei videogiochi ed è alla ricerca del prossimo successo: Illimity nel supporto finanziario alle piccole e medie imprese? Scalapay nel frazionamento dei pagamenti? Ma la domanda da porsi è: come chiudere un gap così ampio per contribuire alla rivoluzione digitale che agli albori dell’intelligenza artificiale è solo all’inizio? Tra gli imputati principali, vi è certamente la mentalità imprenditoriale che ha caratterizzato la generazione post-bellica (che non a caso ha prodotto i grandi marchi del made in Italy che tuttora aiutano la nostra economia con una dimensione di export ben sopra la media europea), ma che è stata surclassata dalla cultura del posto fisso nelle generazioni successive.

 

In Italia il 90% delle startup sopravvive oltre il quinto anno

In quanti siamo disposti ad abbandonare quanto stiamo facendo per abbracciare un progetto imprenditoriale ed essere dedicati a esso 24 ore su 24? In molti partono con un’idea affascinante, ma poi l’ostinazione del portarla avanti viene mano a mano abbandonata di fronte ai primi ostacoli della fase esecutiva, che è poi quella che rende l’idea di effettivo successo. O, peggio, viene tenuta in vita quando in realtà rimarrà per sempre un’idea nana. Un dato per tutti: il 90% delle startup italiane sopravvive al quinto anno di età: esattamente l’opposto di quanto accade nei cluster di successo quali la Silicon Valley o il distretto di Tel Aviv dove un’idea che non decolla effettivamente viene abbandonata nel giro di massimo tre anni.

 

Quanto conta la competenza?

Cultura del rischio quindi da parte di chi vuole innovare. Contiguità e attenzione alle startup da parte delle imprese. Ma anche competenze. Tutte le innovazioni di successo sono figlie di idee che hanno abbinato una conoscenza analitica settoriale con il digitale. Avere competenze profonde di un’industria è una base di partenza fondamentale, che si alimenta solo con lo studio di materie a volte molto tecniche. Si pensi alle tante opportunità che gravitano oggi attorno al cosiddetto «deep tech» che coinvolge settori che vanno dalle scienze della vita a quelle dei materiali. Questa conoscenza deve poi essere abbinata a una conoscenza del digitale altrettanto analitica per cogliere le opportunità. Non a caso, agli albori Amazon aveva scelto come sede dei suoi quartieri generali Seattle, anche per la presenza dell’hub di Microsoft che le avrebbe consentito di accaparrarsi i talenti che volevano andare a lavorare in una startup coraggiosa. Ci sarebbe poi lo spinoso tema del finanziamento e della «scala» su cui i cugini francesi e la Germania stanno lavorando con una politica industriale decisamente promettente. Ma questa è un’altra storia.

 

(Fonte: Corriere della Sera)

Contattaci per una pre-analisi gratuita e senza impegno

Valuteremo insieme le tue necessità e ti proporremo un piano d’azione per reperire i capitali di cui hai bisogno.

Come identificheresti la tua attività? Scegli una delle tipologie indicate qui di seguito:

Iscriviti alla nostra newsletter

Ricevi novità e consigli finanziari utili alla tua attività.