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Produzione in difficoltà e consumi in calo: filiere a rischio

I prossimi mesi non saranno facili per la nostra economia. Per quanto le imprese italiane abbiamo fatto della flessibilità la loro principale caratteristica, rimanendo così altamente competitive, troppi sono i segnali negativi all’orizzonte che ci inducono a evitare facili ottimismi. Abbiamo superato la crisi finanziaria del 2008, quella dei debiti sovrani, dell’euro, la doppia recessione e ci preparavamo a superare anche il Covid, ma l’invasione dell’Ucraina ha complicato il quadro. Il clima si fa pesante per i consumi. I loro livelli sono ben al di sotto del febbraio del 2020, appena toccato dalla pandemia.

I dati

Secondo l’Osservatorio consumi di mercato Confimprese-Ey, l’abbigliamento-accessori è sotto del 24,9%, la ristorazione del 9,2%. Il settore viaggi e turismo è addirittura quasi dimezzato con un -45%. Una città come Milano registra un -15%, Roma e Firenze sono a -17% a Bologna a -24%. Ma ad aggiungere incertezze c’è anche una catena produttiva che deve fare i conti con i mancati approvvigionamenti.

L’automotive

Solo pensando a un settore strategico come quello dell’auto, fino al 40% del palladio prodotto nel mondo arriva dal gruppo russo Norilsk Nickel, che fornisce anche buona parte del nickel utile per le batterie elettriche. Sempre dalla Russia arrivano componenti essenziali per gli pneumatici. Dall’Ucraina arrivavano altrettanto importanti pezzi per l’automotive. In questo quadro sono necessarie risposte di sistema. Il governo può fare molto, ma non tutto.

La catena

Le aziende in questi anni sono state abituate a una politica poco reattiva, anche se non è il caso di questo governo. Ma per salvaguardare il sistema produttivo, che è quello che permette la crescita, bisogna prendere la consapevolezza di essere un Paese di piccole e medie imprese. Questo si traduce in un imperativo: vanno difese le filiere. Anche se le grandi aziende sono poche, spetta a loro, e alle capo filiere, il compito principale per evitare di disperdere questo patrimonio. Perché la finanza che non ha come sottostante l’economia reale ha ben poco futuro.

 

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